S. Ignazio d’ Antiochia

Cenni storici di Sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire  

( nato nel 35 d.c. circa – morto martire a Roma nel 107 d.c. circa, le sue reliquie sono oggi conservate nella Basilica di San Clemente a Roma)

Sant’Ignazio fu il terzo Vescovo di Antiochia, in Siria, cioè della terza metropoli del mondo antico dopo Roma e Alessandria d’Egitto.
Lo stesso San Pietro era stato primo Vescovo di Antiochia, e Ignazio fu suo degno successore: un pilastro della Chiesa primitiva così come Antiochia era uno dei pilastri del mondo antico.
Non era cittadino romano, e pare che non fosse nato cristiano, e che anzi si convertisse assai tardi. Ciò non toglie che egli sia stato uomo d’ingegno acutissimo e pastore ardente di zelo. I suoi discepoli dicevano di lui che era ” di fuoco “, e non soltanto per il nome, dato che “ignis” in latino vuol dire “fuoco”.
Mentre era Vescovo ad Antiochia, l’Imperatore Traiano dette inizio alla sua persecuzione, che privò la Chiesa degli uomini più in alto nella scala gerarchica e più chiari nella fama e nella santità.
Arrestato e condannato ad bestias, Ignazio fu condotto, in catene, con un lunghissimo e penoso viaggio, da Antiochia a Roma dove si allestivano feste in onore dell’Imperatore vittorioso nella Dacia e i Martiri cristiani dovevano servire da spettacolo, nel circo, sbranati e divorati dalle belve.
Durante il suo viaggio, da Antiochia a Roma, il Vescovo Ignazio scrisse sette lettere, che sono considerate non inferiori a quelle di San Paolo: ardenti di misticismo come quelle sono sfolgoranti di carità. In queste lettere, il Vescovo avviato alla morte raccomandava ai fedeli di fuggire il peccato; di guardarsi dagli errori degli Gnostici; soprattutto di mantenere l’unità della Chiesa.
D’un’altra cosa poi si raccomandava, scrivendo particolarmente ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non tentare neppure di salvarlo dal martirio.
“lo guadagnerei un tanto – scriveva – se fossi in faccia alle belve, che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Le accarezzerei, anzi, perché mi divorassero d’un tratto, e non facessero come a certuni, che han timore di toccarli: se manifestassero queste intenzioni, io le forzerei “.
E a chi s’illudeva di poterlo liberare, implorava: ” Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l’altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s’è degnato di mandare dall’Oriente in Occidente il Vescovo di Siria! “.
Infine prorompeva in una di quelle immagini che sono rimaste famose nella storia dei Martiri: ” Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. lo sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché sia trovato puro pane di Cristo “.
E, giunto a Roma, nell’anno 107, il Vescovo Ignazio di Antiochia fu veramente ” macinato ” dalle innocenti belve del Circo, per le quali il Martire trovò espressioni di una insolita tenerezza e poesia: ” Accarezzatele, scriveva infatti, affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno “.

Estratto dalla «Lettera ai Romani» di sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 4, 1-2; 6, 1 – 8, 3)

Scrivo a tutte le chiese, e a tutti annunzio che morrò volentieri per Dio, se voi non me lo impedirete. Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore.
A nulla mi gioveranno i godimenti del mondo né i regni di questa terra. E’ meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra. Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. E’ vicino il momento della mia nascita.
Abbiate compassione di me, fratelli. Non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Se qualcuno lo ha in sé, comprenda quello che io voglio e mi compatisca, pensando all’angoscia che mi opprime.
Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Nessuno di voi gli dia mano; state piuttosto dalla mia parte, cioè da quella di Dio. Non siate di quelli che professano Gesù Cristo e ancora amano il mondo. Non trovino posto in voi sentimenti meno buoni. Anche se vi supplicassi, quando sarà tra voi, non datemi ascolto: credete piuttosto a quanto vi scrivo ora nel pieno possesso della mia vita. Vi scrivo che desidero morire.
Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c’è più in me nessun’aspirazione per le realtà materiali, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: «Vieni al Padre». Non mi diletto più di un cibo corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David; voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile.
Non voglio più vivere la vita di quaggiù. E il mio desiderio si realizzerà, se voi lo vorrete. Vogliatelo, vi prego, per trovare anche voi benevolenza. Ve lo domando con poche parole: credetemi. Gesù Cristo vi farà comprendere che dico il vero: egli è la bocca verace per mezzo della quale il Padre ha parlato in verità. Chiedete per me che io possa raggiungerlo. Non vi scrivo secondo la carne, ma secondo il pensiero di Dio. Se subirò il martirio, ciò significherà che mi avete voluto bene. Se sarò rimesso in libertà, sarà segno che mi avete odiato.

Breve rassegna di scritti estrapolati dalle sette lettere di Sant’Ignazio di Antiochia. 

Lettera agli Efesini

“Tutti voi, uno per uno, possiate diventare un coro, affinché in armoniosa concordia, prendendo da Dio l’accordo, cantiate tutti all’unisono rivolti al Padre per tramite di Gesù Cristo, acciocché egli vi presti ascolto e riconosca, grazie alle vostre buone opere che siete membra del suo figlio. È bene perciò che voi siate irreprensibilmente uniti, per essere partecipi di Dio”. (4-38)

“In effetti ci sono alcuni che con inganno perverso usano portare in giro il nome di Dio ma fanno cose indegne di lui: costoro dovete evitare come bestie feroci, perché sono cani rabbiosi, che mordono di nascosto. Guardatevi da loro, perché è difficile guarirli. C’è un solo medico, carnale e spirituale, generato e ingenerato, dio che è venuto nella carne, nella morte vita vera, da Maria e da Dio, prima passibile e ora impassibile, Gesù Cristo, nostro signore”. (7-55)

“Pregate incessantemente per gli altri uomini, perché c’è speranza che essi si pentano per arrivare a Dio. Permettere a loro di apprendere almeno dalle vostre opere. Siate miti di fronte alla loro ira, umili di fronte alla loro superbia, opponete le preghiere alle loro bestemmie, saldi nella fede di fronte al loro errore, pacifici di fronte alla loro ferocia, senza cercare di imitarli”. (10-74)

“Abbiate cura di riunirvi più di frequente per rendere grazie a Dio e glorificarlo. Quando infatti vi riunite con frequenza, le potenze di Satana sono distrutte e la rovina che quello apporta si dissolve grazie alla concordia della vostra fede”. (13-93)

“È meglio tacere ed essere che parlare e non essere. Insegnare è efficace se chi parla fa. Uno solo è il maestro, che disse e fu fatto, e le cose che egli ha fatto nel silenzio sono degne del Padre”. (15 – 101,102)

Lettera ai Magnesii:

“È bene non soltanto chiamarsi cristiani ma anche esserlo, perché ci sono alcuni che lo chiamano vescovo ma agiscono in tutto prescindendo da lui.” (4-146)

“Come il Signore nulla ha fatto senza il Padre, in quanto unito con lui, né di per sé né tramite gli apostoli, così voi non dovete far niente senza il vescovo e i presbiteri: non cercate di far apparire ragionevole ciò che fate a parte, ma tutto sia fatto in comune: una sola preghiera, una sola invocazione, una sola intenzione, una sola speranza nell’amore e nella gioia irreprensibile, che è Gesù Cristo, di cui nulla è migliore”. (7-163)

Lettera ai Tralliani:

“È poi necessario che quelli che sono i diaconi dei misteri di Gesù Cristo risultino in ogni modo graditi a tutti, poiché sono ministri non di cibi e bevande ma della chiesa di Dio. Debbano perciò guardarsi da ogni accusa come dal fuoco”. (2-215)

“Similmente tutti portino rispetto ai diaconi come a Gesù Cristo, e anche al vescovo, che è figura del Padre, e ai presbiteri come al sinedrio di Dio e al collegio degli apostoli. Senza costoro non si può parlare di chiesa” (3-217)

Lettera ai Romani:

“Non è opera di persuasione, ma di grandezza il cristianesimo, quando è odiato dal mondo” (3-306)

Lettera ai Filadelfii:

“Fuggite le arti maligne e le insidie del principe di questo mondo, perché non avvenga che stretti dai suoi raggiri vi indeboliate nell’amore. Ma riunitevi tutti con cuore indiviso”. (6-386)

Lettera agli Smirnei:

“Nessuno si faccia ingannare. Anche le creature celesti, gli angeli gloriosi, i principi visibili e invisibili, se non credono nel sangue di Cristo la condanna attende anche loro”. (6-452)

Lettera a Policarpo:

“Se ami i buoni discepoli, non hai merito; piuttosto prova a sottomettere i più difficili con la mitezza. Non tutte le ferite si curano con il medesimo impiastro. Calma i parossismi con infusione. Sii prudente come serpente in ogni cosa e sempre puro come la colomba”. (2-515)

“Conservate il vostro battesimo come scudo, la fede come elmo, l’amore come lancia, la pazienza come armatura”. (6-544)

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